Tempo di lettura: 3:30 minuti
Ascolto consigliato: Giuseppe Verdi “Il trovatore – Vedi, le fosche notturne spoglie

Qualche giorno fa leggevo un articolo sull’Internazionale, parlava di come essere ossessionati dalla felicità, ci renda irrimediabilmente infelici.
Ho le prove di ciò che mi appresto a raccontare.
Il New York Times, tempo fa, aveva dato la notizia che il corso più seguito nei 317 anni di storia dell’università di Yale, riguardava la felicità “Psichology and the good life”.
Questo corso è stato sospeso perché la massiccia adesione ha causato innumerevoli problemi e, forse, anche perché non si studiava l’approccio di Epicureo o Aristotele alla vita, piuttosto erano una serie di pratiche da mettere in opera come: “…compiti settimanali da eseguire: come fare gesti di gentilezza, conoscere qualcuno di nuovo…”.
Tuttavia la psicologa Laurie Santos, docente del corso, ha deciso di pubblicarne il materiale su una piattaforma ‘Coursera’, la quale offre corsi gratuiti delle maggiori università americane, se volete andate a sbirciare.

L’articolo si spende parecchio sulla parola felicità e su la più vasta bibliografia che la riguarda, la riflessione che ne viene fuori è che rincorrere a tutti i costi la felicità, in tutti gli ambiti della nostra vita, ci illuda di poter raggiungere un tale livello di perfezione, che di per se è utopia.
SAPPIAMO TUTTI CHE LA PERFEZIONE NON ESISTE.

Si, lo so, alcuni dicono che la natura è perfetta, il corpo umano è una macchina perfetta, ma vorrei farvi notare che in entrambi i casi non è perfetta sempre, per ripristinare un equilibrio, sia la natura che il nostro corpo, si ribellano alle volte.

L’ambizione a essere perfetti in tutto, provoca in noi frustrazione, perché questo è un approccio che ti condanna al fallimento.

La psicologa ha suddiviso in tre forme il PERFEZIONISMO:
-Autoriferito: nutrire il desiderio irrazionale di essere perfetti;
-Imposto socialmente: essere esposti a un eccesso di aspettative da parte del proprio ambiente;
-Eteroriferito: assegnare a terzi, standard di perfezionismo che non corrispondono alla realtà.

Non vi dico tutto ciò perchè ho imparato la lezioncina, solo perché credo sia utile che voi ne prendiate nota.

Una volta il mio migliore amico, in un momento difficile mi ha detto “Olimpia ogni sentimento ha la sua dignità, devi accettarlo e rispettarlo” e credo sia un’enorme verità.

In altre parole, per essere felici, bisogna anche sperimentare il dolore, non annullarlo.

Da questo articolo ho capito che inseguire l’utopia, che ribattezzerò ‘Happy For Ever’, ci causa infelicità come prima cosa.
Sperimentare il dolore, la difficoltà, il disagio, ci permette di trovare la strada migliore per il nostro cammino e quindi incontrare, su quel tracciato, anche la nostra fetta di felicità.

Secondo me, come il nero e il bianco, il bene e il male, non ci può essere felicità se non si vive anche il dolore, anestetizzare quest’ultimo, significa condannarsi alla superficialità o, peggio, alla totale assenza di emozioni.

In un corso di formazione, mi hanno spiegato che si può definire RESILIENZA ALTA, quando qualcuno si fa scivolare tutto addosso senza soppesare nulla; Non è un atteggiamento sano.
Anche il contrario, una resilienza bassa, non è un approccio sensato, rimuginare continuamente su una vicenda dolorosa non ti aiuterà a superarla, ti renderà per molto tempo infelice, questo si di certo.
La risposta è l’equilibrio, la resilienza è una parola bellissima se sappiamo usarla a nostro vantaggio.

Tendiamo a semplificare noi stessi, pensare che tutti proviamo le stesse cose ci consola forse, ciò che va bene per me però, può non andare bene per te.

Smiley Blanton, un paziente di Freud, lui si che è andato dal padre degli psicanalisti e ha tenuto persino un diario durante l’analisi, scriveva a proposito della felicità “Per essere felice, togli le parole ‘se solo’ e sostituiscile invece con le parole ‘la prossima volta’.”
Io ci provo, promesso.