Definita la più grande artista dell’età barocca, cosa decisamente improbabile per una donna e per quell’epoca, Artemisia Gentileschi nasce a Roma nel 1593.

Suo padre è il pittore Orazio Gentileschi e sua madre è Prudenzia Montone, quest’ultima esce subito di scena quando Artemisia ha solo dodici anni morendo di parto, ed ecco qua il primo trauma.

Da subito Artemisia dimostra che con il pennello ci sa fare, che seppure è un’affermazione maliziosa, io intendo letteralmente.

Nello studio di suo padre si allena sin da piccola con pennelli e colori, dimostrando una spiccata dote artistica.

A causa delle personalità che militano nello studio di suo padre si consuma il secondo trauma della vita di Artemisia: a diciotto anni viene violentata da Agostino Tassi, suo maestro di prospettiva.

Al tempo di questa brutta vicenda Tassi era impegnato con il padre Orazio sulla decorazione del Palazzo Pallavicini Rospigliosi di Roma.

Per dirla tutta non è che Artemisia se ne andasse in giro nella Roma del 600 tutta sola, Agostino Tassi per abusarne approfittò della complicità di Tuzia Medaglia, un’amica di Artemisia di cui questa si fidava ciecamente.

Insomma questa storia è un dramma da tutti i punti di vista, la fiducia di Artemisia viene tradita dalla sua più cara amica e dal suo maestro di prospettiva in un colpo solo.

Nel 1612 c’è il processo per la violenza subita da Artemisia, il motivo istituzionale è che il Tassi rifiuta di “riparare al suo abuso” e non la sposa perché è già sposato.

A quel tempo c’era questa pratica barbarica, che durò fino al 900 in Italia, si dava in sposa la ragazza abusata al suo stupratore.

Il motivo reale è che Artemisia è incazzata nera e lo vedremo poi con un quadro che dipingerà anni dopo ma su questo ci torneremo e essendo una donna rivoluzionaria decide di denunciare il Tassi, consapevole che le istituzioni le faranno ostruzionismo.

Il processo si consuma violentando una seconda volta la vittima, invece di mettere alla gogna lo stupratore, il tribunale tortura la vittima.

La parola tortura non è simbolica, le sue mani vennero legate da corde e tirate fino a sanguinare, si credeva che torturare fisicamente una persona rendesse la sua versione dei fatti più credibile, se non ritrattava e era disposta a soffrire allora diceva la verità.

Sappiamo tutti quanto sono importanti le mani per una pittrice giusto? Artemisia resiste.

Abbiamo detto che Artemisia è una rivoluzionaria ma anche una combattente quindi si fa torturare per arrivare alla fine del processo, cosi da esserle riconosciuti i suoi diritti e nonostante il dolore, non ritratta la sua deposizione continuando a rispondere “è vero, è vero”… alle volte due parole hanno la potenza di un intero discorso.

Nonostante Artemisia vince, lei viene disonorata e una serie di voci maligne la marchiano a vita mentre al Tassi ritenuto colpevole di “stupro di vergine” non gli succede quasi nulla, teoricamente dovrebbe andare in esilio da Roma ma praticamente rimane sempre in città spalleggiato da amici forti, tra cui un uomo della chiesa, il cardinale Alessandro Peretti Montalto per cui lavora a Bagnaia, una località vicino a Roma.

Nel 1615 Agostino è di ritorno nella grande urbe, presumibilmente per esplicito volere del Papa, che apprezza la sua abilità come quadraturista, pittore specializzato nella pittura murale e prospettiva.

Ma torniamo ad Artemisia e non si può parlare di lei e di suo padre Orazio senza parlare di Caravaggio, dal quale Artemisia prese il gioco di ombre e luci, quell’effetto che caratterizzò tutta la sua opera.

Dopo il processo il padre le combina un matrimonio con un pittore fiorentino, Pierantonio Stiattesi, e come clausola c’è quella di trasferirsi insieme a Firenze, insomma per Artemisia è tempo di cambiare aria!

A Firenze Artemisia diventa madre ma soprattutto la sua carriera come pittrice vola: viene accolta all’Accademia delle Arti del Disegno ed è la prima donna ad ottenere tale riconoscimento, da quel momento può acquistare i materiali senza il permesso del marito e può firmare i propri contratti con l suo nome.

Nel XVI secolo è, se non impossibile, altamente improbabile che una donna possa raggiungere tale indipendenza.

Artemisia dipinge tantissimo, dovette lavorare anche per coprire i debiti di quell’inutile di suo marito!

Siamo nel 1620, è passato qualche anno da quando Artemisia è andata via da Roma, qui torna il famoso quadro di cui accennavo sopra: Artemisia dipinge “La Giuditta che decapita Oloferne” e per far sapere a tutto il mondo che lei di quella brutta storia con il Tassi ne ha ancora un vivido ricordo e che è ancora incazzata nera, dipinge il volto della Giuditta con il suo e il volto di Oloferne è quello dello stupratore Agostino Tassi.

L’anno dopo molla il marito e torna a Roma come donna indipendente portandosi dietro anche la prole, sua figlia Palmira.

Poi gira un po, vari lavori le commissionano a Venezia, piuttosto che a Napoli e qualche parentesi a Londra per assistere suo padre Orazio fino alla morte che nel frattempo aveva cambiato aria anche lui andandosene addirittura in un’altra nazione.

All’epoca andare a Londra non significa un paio d’ore di volo con una compagnia low coast!

La forza di Artemisia è evidente anche nei suoi lavori, Artemisia non dipinge nature morte e paesaggi ma fa parte di quella piccola cerchia della pittura “alta”: soggetti sacri e storici, impianti monumentali.

Il suo modo di dipingere è caravaggesco si ma con un’interpretazione molto personale: la sua concezione della scena, il contrasto che descrive forme e colori, la predilezione del taglio ravvicinato che conferisce alla scena la drammaticità, ecco tutto ciò è roba sua.

Artemisia si è distinta nell’Italia del 1600 come una delle donne più talentuose e capaci di reagire ai torti subiti.

A un certo punto conobbe l’amore, ebbe un amante, Francesco Maria Maringhi, un ricco rampollo dell’aristocrazia fiorentina.

Gli scrive lettere d’amore, lo sappiamo perché nel 2011 lo studioso Francesco Solinas ne scopre quattro mentre studia nell’archivio della nobile famiglia fiorentina.

Artemisia muore a Napoli nel 1653 e seppure il suo nome cadde nell’oblio per molti anni, completamente sovrastata dalla fama dei suoi colleghi maschi, ad oggi è un simbolo di bravura e di prestigio nel mondo dell’arte internazionale.

“Vedo cose faccio gente” è la mia nuova rubrica, trovi un nuovo racconto alla settimana sul mio blog e arricchita di aneddoti e della presenza ingombrante e spassosa di Luca Bussoletti in radio, la puoi ascoltare il sabato dalle 20:00 alle 22:00 su Radio Cusano Campus.

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