Descritta per la prima volta dalle psicologhe Pauline Clance e Suzanne Imes, la sindrome dell’impostore è una condizione psicologica in cui, anche di fronte a prove evidenti delle sue capacità, un individuo non si sente meritevole dei propri successi, e vive nel costante timore dello smascheramento e che tutto sia dovuto a una incredibile fortuna.

Per questo è importante imparare a riconoscere i propri meriti, anche quelli piccoli.

L’Harvard Business Review suggerisce una piccola tecnica per contrastare la temuta sindrome.

  1. Dividi un foglio di calcolo in due colonne:
    • Risultati ottenuti (grandi o piccoli che siano)
    • Descrizione (quali azioni hai completato per ottenerli)
  2. Ricorda che il successo è un concetto relativo: nel compilare questa lista, cerca di concentrarti sulle cose gratificanti per te.

Secondo uno studio del 2020, esiste una correlazione tra l’uso intensivo dei social media e la diminuzione dell’autostima, confrontarsi costantemente con modelli irraggiungibili alimenta le nostre frustrazioni.

«La considerazione esagerata in cui viene tenuto tutto il mio lavoro, mi mette a disagio e talvolta mi fa sentire un imbroglione, anche se involontario»: si dice che a confidare ad un amico queste parole, sul finire dei suoi giorni, sia stato niente meno che un pensieroso Albert Einstein.

Anche il padre della teoria della relatività aveva la convinzione di godere di una stima immeritata, sproporzionata rispetto alle proprie competenze.

 Si stima che 8 persone su 10 abbiano fatto esperienza della sindrome dell’impostore, che a dispetto del nome non è una malattia e non compare sul Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM).

Questo è il fenomeno opposto alla distorsione cognitiva che porta le persone poco competenti a sopravvalutarsi.

Si chiama L’effetto Dunning-Kruger è una distorsione nella quale individui poco esperti e poco competenti in un campo tendono a sovrastimare la propria preparazione giudicandola, a torto, superiore alla media.

Comunemente definiti “cazzari inconsapevoli” nel gergo popolare, questo effetto è stato pubblicato nel 1995 perché prese spunto dalla rapina del 1995 a Pittsburgh, il quarantacinquenne McArthur Wheeler decise di rapinare due banche nello stesso giorno.

Nessuna maschera, nessun travestimento, tutto ripreso dalle telecamere di sorveglianza, Quando, nel giro di poche ore, la polizia lo arrestò, Wheeler rimase assolutamente sorpreso di essere stato riconosciuto e individuato attraverso le immagini delle telecamere.

La spiegazione che fornì lasciò tutti di stucco: l’uomo sosteneva che prima di uscire di casa, armato e pronto all’azione, aveva ricoperto il suo viso di succo di limone.

No, non è pazzo forse ingenuo, tempo prima un amico gli aveva mostrato che, scrivendo su un foglio alcune parole utilizzando succo di limone, la scritta rimaneva invisibile fino a quando non la si avvicinava a una fonte di calore. Un esperimento elementare, che chiunque può fare a casa.

Wheeler, quindi, era convinto che cospargersi il viso di limone e stare lontano da fonti di calore sarebbe stato sufficiente per scomparire e non essere visto da nessuno. Prima di recarsi in banca si era anche scattato una polaroid, ma aveva sbagliato mira fotografando il soffitto.

Ma torniamo all’origine del discorso, la sindrome dell’impostore potrebbe generarsi da un pregiudizio sul gruppo sociale noto come ignoranza pluralistica.

A causa dell’ignoranza pluralistica le persone tendono a conformarsi a quella che percepiscono come opinione consensuale invece che agire in base alle proprie percezioni e convinzioni.

Nella fattispecie ciascuno dubita di sé privatamente, ma pensa di essere l’unico a pensarla così perché nessun altro dà voce ai propri dubbi, perché è difficile capire quanto gli altri fatichino per raggiungere i loro obiettivi o quanto trovino difficile superare certi ostacoli.

Gli esperti sono concordi nel dire che il modo migliore per superare questa atavica insicurezza è esprimerla a parole, in altre parole dirlo a voce alta sgonfia questa paranoia.

Uno studio condotto presso l’Università di Hong Kong ha rivelato che l’insicurezza sul lavoro non è strettamente correlata alle prestazioni lavorative, il che significa che possiamo avere un livello di prestazioni adeguato o addirittura buono e sentirci comunque profondamente insicuri.

Questo perché l’insicurezza, una volta insediata, è abbastanza resistente alle prove contrarie.

Come spiega lo yogi Sadhguru Jaggi Vasudev “quando ti senti insicuro cerchi di evitare la vita, e questo genera una profonda miseria. Ma in questa vita siamo solo di passaggio. Non abbiamo niente da perdere perché arriviamo con niente e partiamo con niente. Decidiamo se vogliamo viverla con tutte le sue insicurezze o lasciarci paralizzare”.