Fa caldo e quando fa caldo la pressione sanguigna si abbassa e le forze diminuiscono, è naturale che si pensi all’ozio, come riposo, piacere e, finalmente, anche dovere.
Non sarò io a suggerirvi diete a base di frutta e dritte utili da reparto geriatrico per combattere le temperature degne di un Inferno iconico, la sensazione è molto simile alle fiamme alte e diavoli che ti pungolano, ma vorrei edificare questo caldo con un suggerimento credo prezioso: glorificare l’ozio.
Il termine ozio era espresso dai Greci con la parola σχολή (scholḗ) che, secondo un’interpretazione etimologica, significava inizialmente “tempo libero“.
Avrete sentito in contrapposizione alla parola OTIUM il termine NEGOTIUM, che indica occupazione e attività pubbliche.
L’ozio era possedere del tempo da usare in attività disinteressate come lo studio con senz’altro fine che la conoscenza o la contemplazione intima di sé stessi, quanta poesia eh!
Per i Romani l’otium è l’attività dello spirito: riflettere, studiare, scrivere opere letterarie. Mentre il negotium è l’attività pratica: dedicarsi agli affari e alla vita politica. Non dimentichiamo che a quei tempi esisteva legittimamente la schiavitù!
Per tutto il periodo della RES PUBLICA, il cives romano cerca di conciliare otium e negozium in un equilibrio perfetto.
Per Catone il vecchio (234–149 a.C.), al quale viene attribuito il detto «l’ozio è il padre dei vizi», l’otium, che non va confuso con la inertia, l’assenza di ogni ars e neppure con la desidia, ossia lo “star sempre seduti”, è la migliore espressione delle antiche virtù romane.
Il termine “ozio” ha assunto col passare dei secoli una connotazione negativa, da qui il detto “l’ozio è il padre dei vizi”; tuttavia la parola deriva dal vocabolo latino otium che veniva utilizzato per indicare un’occupazione di natura prevalentemente intellettuale.
Catone infatti, che avrebbe voluto che il foro fosse lastricato di pietre aguzze per non far sostare i passanti romani a chiacchierare pigramente come fanno a dismisura i greci, loro sì, oziosi, è convinto che si può essere grandi non solo nel fare ma anche nell’otium.
Un insegnamento questo accolto da Cicerone che confrontava il suo otium con quello di Cassio Longino, politico romano e personaggio noto per essere stato uno dei promotori della congiura ai danni di Gaio Giulio Cesare, mentre questo impiegava il suo tempo libero nel leggere orazioni, c’era orgogliosamente Cicerone che affermava:
«Tu dici che, quando sei otiosus, leggi delle orazioni: allora sappi che io, quando sono in otium, le orazioni le scrivo.”
Con il cristianesimo la considerazione dell’ozio subisce una svalutazione tale che nella teologia morale l’ozio viene considerato come una trascuratezza dei propri doveri, tutto commisurato dalla gravità di ciò che si è lasciato indietro.
In quest’ultima accezione nel cattolicesimo si parla di accidia, cioè dell’indolenza ad operare il bene, considerata come uno dei sette vizi capitali.
Il giudizio sulla negatività dell’ozio diviene particolarmente evidente con la riforma protestante, quando si afferma l’idea della sacralità del lavoro che, quando genera buoni frutti, offre al credente la prova della benevolenza divina nei suoi confronti.
Aristotele definì il lavoro come l’attività utile. Secondo il filosofo l’ozio era qualcosa di diverso, un fine in sé, l’apice della vita umana. Quasi un elemento divino.
Josef Pieper, filosofo del ventesimo secolo, era d’accordo con Aristotele, e definì il tempo libero come “la base della cultura”.
Quando l’ozio non ci fa sentire in colpa, spesso rischia di annoiarci.
La chimica del nostro cervello è sintonizzata sull’intrattenimento costante e di conseguenza l’indolenza ci risulta estremamente fastidiosa. Quanto ci nuoce essere costantemente intrattenuti?
In uno studio del 2014 alcuni ricercatori hanno lasciato un gruppo di persone da sole in una stanza per un periodo compreso tra i 6 e i 15 minuti, senza niente da fare. I partecipanti hanno intrapreso qualsiasi attività possibile, compresa quella di autoinfliggersi un elettroshock. Perfino il dolore è meglio che restare da soli con i propri pensieri!
Se siete meditatori potete bypassare le prossime tre righe altrimenti sappiate che stare seduti in un luogo pacifico per cinque minuti al giorno, meglio se con la possibilità di osservare qualcosa di bello o semplicemente a occhi chiusi, aiuterà tutti gli aspetti della vostra vita.
Evitate ogni dispositivo tecnologico in modo da permettere alla vostra mente di entrare in quello che gli scienziati definiscono “default-mode network”, ovvero lo stato in cui le regioni del cervello utilizzate per il lavoro di concentrazione possono riposare.
Recentemente è venuto a mancare lo scrittore Milan Kundera che a tal proposito diceva: «Nel nostro mondo l’ozio è diventato inattività, che è tutt’altra cosa: chi è inattivo è frustrato, si annoia, è costantemente alla ricerca del movimento che gli manca».
Giustificava Victor Hugo: «Un uomo non è ozioso se è assorto nei propri pensieri; esiste un lavoro visibile e uno invisibile».
Insomma c’è ozio e ozio!
Questa estate fermatevi e respirate, ricordatevi che Isaac Newton ebbe l’intuizione sulla LEGGE DI GRAVITA’ semplicemente osservando una mela staccarsi da un ramo e cadere a terra.
Limitatevi a osservare ciò che è intorno, restate in ascolto con ciò che c’è dentro.