C’è un abito più famoso di altri, è un abito bianco con la gonna a ruota, un abito da cocktail direbbe uno stilista.

Parlo di un abito che è diventato iconico e chiunque nell’intero globo lo veda, penserà subito e solo a una star del cinema.

Si, so che avete capito: siamo nel 1955, sto parlando dell’abito indossato nel film “Quando la moglie è in vacanza” e l’attrice che lo indossa è una spumeggiante Marilyn Monroe.

Lo disegnò il costumista William Travilla, che cominciò a lavorare con Marilyn nel 1942, all’epoca era uno dei tanti costumisti a contratto della Twenty Century Fox ma più di dieci anni dopo, grazie a quell’abito bianco, divenne anche lui una celebrità.

Le malelingue di Hollywood dicono che quell’abito Travilla lo comprò e non lo disegnò, lui ha sempre smentito ma qualsiasi tesi vorrete abbracciare come vera, quell’abito su Marilyn glielo ha messo addosso Travilla e questa rimane una grande intuizione.

Ma perché un abito acquista tutto questo potere? Perché seduce il pubblico! Si ma quell’abito rappresenta per la Monroe una liberazione, oltre a comportare una rivoluzione scandalosa nei costumi perbenisti e tradizionali della società americana dell’epoca.

Quell’abito fu la goccia che fece traboccare il vaso del secondo matrimonio di Marilyn, all’epoca stava con Joe Di Maggio, famoso giocatore di baseball, si erano uniti in matrimonio dopo un lungo corteggiamento da parte di lui nel 1954, in forma privata e nel municipio di San Francisco.

Non fu un colpo di fulmine, Joe dovette lottare e alla fine la spuntò ma fu un matrimonio costellato di scenate di gelosia, l’ultima fu proprio a causa di quell’abito bianco e dopo un litigio che durò una notte intera, insulti e schiaffi da parte di Joe, Marilyn chiuse questa relazione tossica, una di una lunga serie.

Una lancia va spezzata a favore di Joe, dopo che Marilyn divorziò dal suo terzo marito, il regista Arthur Miller, Joe le stette vicino, si prese cura di una donna decisamente distrutta dalla vita, le fece persino un prestito per permetterle di comprare la casa di Brentwood.

Si vociferava anche di un riavvicinamento amoroso ma no, non fu così, era solo il gesto di un uomo che aveva disdetto gli abiti del maschio possessore e stava vicino a una donna che ormai era diventata un’amica speciale e al quale voleva bene…almeno a me piace pensare così!

Su Marilyn, soprattutto nell’ultimo anno, grazie Netflix, se ne è parlato pure troppo.

Infatti voglio concentrarmi ancora un pò sull’abito precisamente color avorio che lei indossò.

Siamo tra gli anni 50’ e 60’ nella Hollywood del 900.

Il vestito è composto da un corpetto in tessuto pieghettato dalla profonda scollatura, due lembi di stoffa sono legati dietro al collo di Marilyn e lasciano libere e scoperte braccia, spalle e schiena.

 A completare la miscela da urlo c’è una fascia di tessuto liscio che le cinge la vita sotto il seno e quella gonna a ruota plissettata.

So che siete eccitati anche voi dopo questa descrizione minuziosa.

Glamour ha classificato quell’abito indossato dalla Monroe come uno dei più famosi abiti della storia.

Quell’abito è arrivato primo anche in una statistica condotta da Cancer Research UK, nominato come l’abito più famoso indossato da una celebrità che ha rappresentato un’icona cinematografica.

Insomma Marilyn è la numero uno. Non lo dico solo perché faccio il tifo per lei ma perché se lo merita, poche riescono a trasformare un vestito in una rivoluzione culturale.

Seppur aveva un disperato bisogno di amore, Marilyn ha cercato di reagire, consapevolmente o meno, agli avvenimenti della sua vita e aveva la fame della sopravvissuta.

Cominciamo dai traumi infantili: non ha mai conosciuto e saputo chi fosse suo padre e ha avuto una madre con una grave malattia mentale, schizzofrenia paranoide la diagnosi, dopo aver attentato più volte alla sua vita, è stata ricoverata in un ospedale psichiatrico.

Forse questo basterebbe a devastare le vite di quasi tutti noi.

Poi a 16 anni si è sposata il ragazzo della porta accanto per uscire dall’orfanotrofio, ha fatto un po la casalinga, si è stufata quasi subito e mentre il suo primo marito, James Dougherty, si arruolava in marina allontanandosi da casa, Marilyn andò a lavorare in una fabbrica di areoplani.

Galeotto fu quell’impiego perché fu notata da un fotografo che la spinse a fare di sé una modella e quando James tornò dal lungo viaggio di lavoro, il matrimonio si spacco in mille pezzi come un bicchiere di cristallo che cade a terra.

I due divorziarono nel 1946, non si videro mai più. Marilyn aveva vent’anni e la voglia di vivere se la mangiava.

Jhonny Hyde, Vice Presidente di una delle più importanti agenzie di Hollywood, è l’uomo che ha lanciato la Monroe nel cinema.

Se qualcuno pensa che fosse una scansa fatiche la bionda svampita e formosa, si sbaglia di grosso.

Iniziò a prendere lezioni, di ballo, canto e recitazione ed era molto più brava di molte colleghe della sua epoca, seppure le proponessero ruoli minori dove si occupava per lo più di ammiccare agli uomini e farli cadere ai suoi piedi.

A un certo punto Marilyn si rese anche conto che i suoi colleghi maschi prendevano trecento volte di più del suo compenso e rifiutò ruoli giocando al rialzo per fare la sua campagna giustizialista nella Hollywood degli anni 50. Niente male per una ragazza poco istruita e con ingombranti traumi infantili.

Il suo vero nome era Norma Jeane, e i suoi cognomi Baker e Mortenson venivano dai suoi patrigni, i primi due mariti della madre. Monroe era invece il cognome di sua madre.

Insomma Marilyn ha creato un personaggio che si portava dietro la vertigine di un’eredità familiare instabile, in effetti la spumeggiante bionda era instabile e gli anti depressivi sono sempre stati i suoi migliori amici, insieme allo champagne e forse si, anche qualche diamante come cantava nel film “Gli uomini preferiscono le bionde” nel 1953.

Sorvolerò sulla storia con il Presidente degli Stati Uniti D’America, John Kennedy, e anche quella con il fratello Robert Kennedy.

Marilyn non aveva proprio il mirino per gli amori sani, ha fatto il suo meglio, come tutti noi.

Ho sinceramente pensato che Arthur Miller fosse l’uomo in grado di salvarla dal suo autolesionismo, un po’ perché si narra fosse follemente innamorato di lei, un po’ perché era un regista quindi era in grado di capire le dinamiche di vita di un’attrice, purtroppo Marilyn aveva bisogno di un terapeuta piuttosto che un compagno.

Si convertì anche all’ebraismo mentre stava con Miller, i suoi film furono vietati in Siria e Egitto per questo. Andarono in luna di miele in Giamaica e poi Marilyn si trasferì nel Connecticut, nel ranch del suo terzo e ultimo marito.

Nel frattempo l’Istituto di Cultura Italiana di New York consegno alla Monroe dalle mani di Anna Magnani il David di Donatello per la migliore attrice straniera.

Marilyn voleva un figlio da Miller, ma durante il loro rapporto ebbe alcuni aborti. Numerosi biografi hanno indagato sul reale numero di interruzioni di gravidanza avute dall’attrice: il numero non è univoco, in quanto spesso ricorse a cliniche illegali, si narra che la Monroe ebbe circa dodici aborti, mentre la stessa Marilyn disse di aver avuto quattordici interruzioni di gravidanza.

Il notevole numero di questi interventi è in parte dovuto all’endometriosi della quale soffriva.

Sicuramente, nel corso della sua vita ebbe una gravidanza ectopica, un aborto spontaneo e uno volontario. Insomma un gran casino a livello emotivo.

Marilyn non ebbe mai bambini ma secondo me conservò fino alla fine quello spirito ingenuo, dolce e capriccioso, tipico di una bambina.

Morì in circostanze sospette a casa sua a Los Angeles, il 4 agosto del 1962.

Vedo cose faccio gente è la mia nuova rubrica, trovi un nuovo racconto alla settimana sul mio blog e arricchita di aneddoti e della presenza ingombrante e spassosa di Luca Bussoletti in radio, la puoi ascoltare il sabato dalle 20:00 alle 22:00 su Radio Cusano Campus.

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