Io sono una privilegiata per essere bianca, eterosessuale e nata in Occidente.

Io sono una privilegiata per essere bianca, eterosessuale e nata in Occidente.

Sono una privilegiata anche perché non ho mai vissuto la guerra ma l’ho sentita solo raccontare.

Alcuni di voi diranno “Questi non sono privilegi, la ricchezza è un privilegio ad esempio, Paris Hilton può dirsi una privilegiata” e invece signore e signori quando si vive da privilegiati non ci si rende conto di esserlo.

Ho visto diversi documentari sull’argomento, Netflix vi può fornire una base, consiglio vivamente quello della famosa comica bianca Chelsea Handler “Hello, Privilege. It’s Me, Chelsea” .

Questo contenuto potrebbe finire qui perché vi ho già fornito degli ottimi strumenti per interrogarvi e far da soli. Peccato che io non so stare al posto mio altrimenti questo blog non esisterebbe, lo faccio per me perché ne ho bisogno, tutti dovrebbero soddisfare i propri bisogni che, attenzione, sono una cosa molto diversa dai desideri.

I bisogni dipendono da te e solo da te, nessuno può soddisfarli al tuo posto, i desideri molto spesso sono ciò che vorremo dagli altri, ci sta, però ricordate: le persone non sono telepatiche, siate chiari nell’esprimere i vostri desideri al mondo. Perdonate la digressione.

Io credo che il problema sia il controllo e che spinti da questo impulso dobbiamo classificare tutto, inserendo la società in un casellario, solo così possiamo sentirci rassicurati.

Ma rassicurati da che? Perché se vediamo un uomo o una donna, bianco o nero, mulatto o asiatico, gay o etero, ricco o povero, ci facciamo caso, produciamo un’opinione – sulla base di che? –  e solo dopo procediamo con il nostro passo svelto continuando a condurre la nostra insignificante vita?

La vita ha significato solo per noi, voi tutti sapete che se domani non ci fossimo più, il mondo andrebbe avanti ugualmente.

Da grandi dimentichiamo il nostro lato bambino, l’aspetto sano di chiederci chi è che ci passa davanti, so che i bambini possono essere le creature più crudeli sul pianeta ma il loro modo di ferire (facendo domande inappropriate) è spinto dalla curiosità non dal giudizio.

Quasi mai riesco a fornire delle risposte a me stessa, figuriamoci agli altri, ma in questo pezzo sono decisamente inflazionate le domande: Come è possibile che dai nostri insuccessi o dalla tristezza inespressa, dai traumi e dalle frustrazioni personali sentiamo l’esigenza di prendercela con gli altri?

Più facile è guardare qualcuno che non ci assomiglia o che sotto sotto ci assomiglia troppo e denigrare lui o lei piuttosto che accettare noi stessi e magari produrre un cambiamento?

Ora gli intelligenti tra voi diranno “Perché è più difficile lavorare su sé stessi” vero ma è l’unico modo che conosco e che mi hanno insegnato per trovare pace.

Potete coltivare l’odio e seminarlo, è un’opzione, ma già la vita è un nonsense e non ha nessuno scopo la vostra vita e la mia vita, l’unica cosa che potete fare per voi stessi e cercare di migliorare il tragitto, viverlo al meglio delle vostre possibilità.

Sto prendendo una deriva esistenzialista anche se non era mia intenzione.

Esiste però una cosa chiamata disgusto, le parole sono solo parole ma possono pesare o distruggere.

Mi concentro per un attimo su una delle disuguaglianze più evidenti e vi risparmio diverse brutture che potreste vedere e ascoltare da soli se farete ciò che vi ho consigliato all’inizio.

Il disgusto per l’omosessualità ad esempio si basa per lo più su scritti religiosi e credenze popolari.

Oggi la pena capitale per l’omosessualità è attiva in sei Paesi che fanno tutti parte delle Nazioni Unite. Tre sono in Asia (Iran, Arabia Saudita, Yemen) e tre in Africa (Nigeria, Sudan e Somalia), dove viene effettivamente praticata. È un’opzione possibile per la legge — ma di cui non si sono registrati casi recenti — anche in Mauritania, Emirati Arabi, Qatar, Afghanistan e Pakistan.

Come è possibile che una credenza possa opprimere l’amore per un figlio o una figlia omosessuale?

Essere omosessuali anche nel 2023 è una fatica estrema, figuriamoci per un transgender, uno che nasce nel corpo di un altro e che si sente uno straniero a maneggiare i suoi genitali?

Non so se sapete che un transgender che da uomo vuole diventare donna, oltre le terapie ormonali, diversi interventi chirurgici e ovviamente la gogna della gente che è troppo impegnata a giudicare la vita degli altri più che la propria, con la trasformazione finale (il cambio dei genitali) deve dormire per sei mesi con un vibratore nel sedere per impedire che la finta vagina si richiuda. Immaginate una ferita o una cicatrice, se non rimane dilatata tende a cicatrizzarsi.

Una vaginoplastica non è una passeggiata di salute e non è minimamente piacevole come potrete intuire, quindi il prossimo o la prossima che mi dice che la trasformazione di genere può essere una scelta, giuro che verrà schiaffeggiato o schiaffeggiata… sapete, io credo nella parità di genere.

Se vuoi ascoltare la puntata arricchita di “Vedo cose faccio gente” pigia qui.