Il velo che molte donne portano in testa si chiama  hijab.

Il velo islamico divenne un tema di grosse discussioni e divisioni politiche in Iran nel 1936, quando il paese si trovava in una situazione molto diversa da oggi: non era governato da una teocrazia, come ora, ma dal regime secolare dello scià Reza Pahlavi, che prese il potere dopo la Prima guerra mondiale.

Dopo un lungo periodo in cui indossare il velo era stato scoraggiato, lo scià emise un decreto chiamato Kashf-e hijab, che si traduce come “svelamento” e che vietava definitivamente alle donne di indossare l’hijab e altri veli islamici in pubblico.

In quegli anni la stragrande maggioranza delle donne iraniane indossava il velo e l’imposizione dello scià fu vista come un abuso, anche perché il governo diede ordine alla polizia di far rispettare lo “svelamento” con mezzi duri: le donne che indossavano l’hijab in pubblico venivano spesso malmenate e veniva strappato loro il velo dalla testa.

Ci furono grosse proteste, e nelle comunità più conservatrici poteva capitare che le donne evitassero di uscire di casa, pur di non doverlo fare a capo scoperto.

Nel 1941, lo scià fu costretto ad abdicare in favore del figlio Mohammad Reza Pahlavi, che abrogò il Kashf-e hijab e concesse alle donne di vestirsi come desideravano, con o senza velo.

La rimozione del velo divenne il simbolo non soltanto della campagna di occidentalizzazione forzata portata avanti dallo scià, ma anche del suo regime autoritario.

Indossarlo, invece, divenne un simbolo dell’opposizione: cominciarono a farlo non soltanto le donne appartenenti ai ceti più conservatori, ma anche quelle della classe media, istruite e benestanti, come segno di protesta.

Nel 1979 la rivoluzione islamica costrinse lo scià a fuggire dal paese. Al suo posto si installò come Guida suprema l’ayatollah Khomeini, un noto leader religioso sciita.

Nel 1981 indossare il velo tornò a essere obbligatorio.

Una legge approvata due anni dopo instaurò anche delle pene corporali per le donne che uscivano di casa senza velo: 74 frustate.

Nel giro di pochi anni, in Iran, il velo passò da essere simbolo di liberazione dal regime dello scià a simbolo di oppressione del regime degli ayatollah.

In questo clima entra in gioco la protagonista di oggi.

Narges Mohammadi è una delle più importanti attiviste per i diritti umani in Iran ed è in stato di detenzione.

Narges è stata arrestata a maggio 2015: è stata condannata a 10 anni e 8 mesi carcere e 154 frustrate per aver condotto campagne pacifiche contro la pena di morte in Iran.

Narges Mohammadi, 50 anni, è detenuta arbitrariamente nella prigione di Shahr-e Rey (nota anche come Gharchak) nella città di Varamin, provincia di Teheran.

Le stanno deliberatamente negando assistenza sanitaria adeguata come rappresaglia per le sue campagne pubbliche, come quella contro l’uso dell’isolamento nelle carceri e per aver cercato la responsabilità per le centinaia di omicidi illegali avvenuti durante le proteste del novembre 2019.

Secondo quanto riportato da suo marito, il 23 giugno 2022 Narges Mohammadi è stata trasferita in ospedale, fuori dal carcere, dopo aver avvertito difficoltà respiratorie e battito cardiaco irregolare.

Da quando è tornata in prigione dall’ospedale le sono stati negati alcuni farmaci specifici prescritti dal medico specialista.

Le autorità le avevano precedentemente trattenuto i farmaci dal 21 aprile all’11 maggio 2022.

Narges Mohammadi ha riferito che il 3 febbraio 2022, a seguito di un attacco di cuore, il medico del carcere le ha negato un’assistenza sanitaria adeguata, mentre i funzionari dell’accusa le hanno impedito il trasferimento in ospedale fuori dal carcere per cure mediche urgenti, mettendo a rischio la sua vita.

Solo dopo aver subito una serie di attacchi di cuore il 16 febbraio 2022, Narges Mohammadi è stata trasferita in ospedale, dove ha subito un intervento chirurgico al cuore d’urgenza.

Contro il parere del medico e prima che si riprendesse, dopo tre giorni le autorità l’hanno riportata in prigione, ma il 22 febbraio ha ottenuto un congedo medico.

La donna racconta di sistematici abusi sessuali e fisici, resi ancora più violenti e continui in conseguenza alle proteste che negli ultimi mesi stanno mettendo a dura prova il paese.

Una delle detenute è stata legata mani e piedi al tetto del veicolo che l’ha condotta in carcere ed in seguito è stata violentata, a turno, dagli agenti adibiti alla sicurezza della prigione.

Non sono mancati gli appelli da parte di Mohammadi per denunciare quanto accaduto, vi è però il rischio concreto che le famiglie della prigioniera possano ricevere minacce ed intimidazioni.

La detenzione di Narges Mohammadi è ripresa il 21 aprile 2022.

Narges Mohammadi è detenuta esclusivamente per il suo lavoro per i diritti umani.

Se volete fare qualcosa di concreto per lei come per tutte le persone che in questo momento vivono in un regime di detenzione ingiusta in luoghi dove regna la dittatura potete firmare la petizione di Amnesty international per richiedere il rilascio immediato di Narges Mohammadi.

Il lavoro di Amnesty è efficace ovunque nel mondo: dei prigionieri d’opinione sono liberati, delle condanne a morte vengono commutate in pene detentive e le persone che hanno fatto uso della tortura vengono portate in tribunale.

Anche i governi si lasciano convincere della necessità di modificare le loro leggi e le loro pratiche se facciamo rumore tutti nel mondo anche e soprattutto se una causa non ci riguarda in prima persona, che è proprio questo che dovrebbe renderci ESSERI UMANI.

Vedo cose faccio gente” è la mia rubrica su Radio Cusano Campus, la puoi ascoltare il sabato dalle 20:00 alle 22:00 o in podcast pigia qui